Good Vibes
- Monica Borsato
- 30 ott
- Tempo di lettura: 11 min

CAPITOLO 6
EQUILIBRIO
Manor Close. Una via di semi-detached houses che si affacciano su dei piccoli ma curatissimi giardini e che si susseguono uguali a mano a mano che l'auto avanza verso la loro destinazione. Number 19, sono arrivate. Sheila parcheggia la sua cabrio gialla in un piccolo cortile di ciottoli. Scendono. Subito lo sguardo di Rose si posa sulla miriade di rose che fiancheggiano il viottolo che conduce alla porta d'ingresso. Ha sempre amato le rose, e il fatto che sua madre l'abbia chiamata Rose non è un caso. Non lontano da casa sua, in Italia, c'è un luogo bellissimo, una vecchia villa di campagna ora adibita a museo etnografico, con un meraviglioso giardino in cui le rose antiche sono le regine indiscusse, in mezzo ad ortensie e azalee dai colori strepitosi, una gioia per gli occhi. Da piccola Rose ci andava sempre con nonna Margherita - guarda caso un altro nome di un fiore - che si occupava della cura del giardino come volontaria insieme ad altre due signore, Maria e Agnese. Mentre loro potavano, concimavano, annaffiavano, lei amava starsene seduta sotto la pergola ad arco ricoperta da un mantello di roselline rampicanti miste a grappoli di glicine, fantasticando di essere una dama dell'Ottocento in attesa delle amiche per il tè delle cinque. Ha sempre avuto una fervida immaginazione che le ha permesso di distaccarsi mentalmente dalle situazioni e dai pensieri negativi, come una boa di salvataggio pronta a tenerla a galla nei momenti in cui le sembrava di affondare.
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Ora non serve fantasticare. La favola che sta vivendo è reale. «Volere è potere», era solito dire nonno Mario. Finalmente Rose ha trovato il coraggio di mettere in pratica quelle sagge parole, anteponendo la sua volontà a tutto il resto, e questo è il motore che le ha dato la forza di partire da sola, senza l’appoggio di nessuno. La solitudine a volte è la condizione necessaria per ritrovare l’equilibrio interiore e riuscire ad affrontare le insidie della vita con più coraggio. La consapevolezza dei propri mezzi porta gli esseri umani ad essere naturalmente più propensi a vivere le sfide che ogni giorno si presentano senza sentirsi inadeguati o non all’altezza. Se stiamo bene con noi stessi, allora riusciamo a stare bene anche con gli altri. Clara non ha mai smesso di ricordarglielo: «Non appoggiarti troppo agli altri Rose, non essere mai completamente dipendente dalle persone, siano esse i tuoi familiari, i tuoi amici o, peggio ancora, gli uomini che ami, perché prima o poi tutto potrebbe finire, anche da un momento all’altro, e tu devi essere pronta ad affrontare la tua vita da sola, a farcela con le tue forze, devi bastare a te stessa se vuoi sopravvivere al dolore». Le parole di sua madre, all’epoca, le erano sembrate eccessivamente ciniche; eppure, almeno per una volta, Rose si ritrova a doverle dare ragione. Ora, lo sta imparando in prima persona, dopo aver perso un marito e aver capito che per le sue figlie la sua assenza è vissuta come una liberazione da tutti i mali. Ma, nonostante tutto, è stata in grado di prendere in mano la sua vita ed è già fiera di sé stessa per essere arrivata fin là, da sola, senza l’aiuto di nessuno. Con la mente assorta in questi pensieri, Rose segue Sheila con la sua valigia lungo il vialetto che porta alla front door. Finalmente è arrivata. La moquette grigia e la carta da parati a fiorellini la fanno subito catapultare nel mondo British. Si toglie le scarpe nel minuscolo ingresso e le ripone ordinatamente accanto alla fila di quelle di Sheila: tra tutte spicca un paio di Wellington boots verdi, quelli che ha sempre visto ai piedi della regina Elisabetta quando viene ritratta in giro per le sue tenute di campagna, con indosso l’immancabile loden verde bosco e il fazzoletto in testa, seguita dai suoi inseparabili corgies. Sheila la invita a lasciare la valigia in fondo alle scale e raggiungerla in cucina per una tazza di tè. «Finalmente!» pensa Rose tra sé e sé, «sono qui, sono arrivata, ce l'ho fatta!».
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«Prego, siediti pure dove vuoi cara» dice Sheila con la sua voce squillante, mentre riempie il bollitore di acqua. Al centro della stanza troneggia un enorme tavolo di legno massiccio sul quale sono disposte quattro tavolette che hanno la funzione di tovagliette. È la prima volta che Rose le vede di questo materiale, a casa le avevano sempre avute di stoffa. Sopra ci sono raffigurate delle oche con una cuffietta blu in testa, circondate da fiori di campo colorati e da alberi di varie tonalità di verde, il tipico paesaggio della campagna inglese che Rose aveva imparato ad apprezzare nelle serie tivù che guardava nelle sue lunghe serate a casa da sola. «Che tipo di tè preferisci? Nero, verde, bianco?» le chiede Sheila. Senza nemmeno pensarci, Rose risponde: «Nero, grazie, è quello che preferisco in assoluto» mentre continua a perlustrare con lo sguardo ogni angolo di quella cucina così particolare e così accogliente. Sopra al grande tavolo, appesi alle travi in legno del soffitto, pendono dei mazzi di fiori secchi che non aveva mai visto. La sua curiosità la spinge subito a chiedere di che tipo di pianta si tratti. «È luppolo selvatico essiccato. Lo tengo qui in cucina perché è qui che passo la maggior parte della mia giornata. Sai, il luppolo ha delle proprietà curative contro lo stress e l’ansia; quindi, questi mazzi mi aiutano a mantenere in equilibrio il mio livello di serenità. Averli sopra la mia testa mi infonde calma e tranquillità» le spiega Sheila mentre versa l'acqua bollente nella mug ricoperta di ortensie azzurre e rosa. «Interessante» dice Rose, continuando la sua perlustrazione. Non ha mai visto una cucina così piena di cose. È l'esatto opposto della sua, dove ha sempre cercato, per quanto possibile, di tenere l'essenziale. Il “troppo” le ha sempre creato ansia, per non parlare del disordine! Anche quando lavora da casa, se è circondata dalla confusione, non riesce a concentrarsi. Se tutto non è perfettamente al suo posto, non inizia nemmeno a lavorare, prima sistema tutto e poi si siede e accende il computer. Da questo punto di vista, si rende conto di essere piuttosto maniacale, l'esatto opposto di sua madre, che ama invece stare nel caos più totale, perché sostiene che avere tutto in ordine la destabilizzi; infatti, a casa sua Clara dice di avere un “disordine organizzato”, perché lei nel suo caos trova tutto, e guai a chi le sposta le cose. Rose invece, pur cercando di tenere tutto in ordine, passa ore a cercare le cose, spesso senza successo, rovistando nei cassetti, nelle infinite ceste portaoggetti che ha posizionato in ogni angolo della casa. Qui a casa di Sheila, però, non prova la stessa sensazione di disagio che ha quando si trova a casa di sua madre, perché gli innumerevoli oggetti che occupano ogni singolo centimetro della stanza hanno un loro ordine e un loro perché.
L'immancabile tostapane, il microonde, il distributore di cereali, lo spremiagrumi, il bollitore. Padelle in rame appese alle travi, vicino alla finestra che dà sul giardino. Sotto alla finestra, in stile tipicamente inglese, c'è il lavello con lo scolapiatti, e a sinistra, una accanto all'altra, la lavastoviglie e la lavatrice. Un po' più in là si intravede, oltre le sedie, anche l'asciugatrice. Ma il pezzo forte di questa stanza è il fornello con la stufa. Altro che il piano a induzione della cucina di Rose, che quasi non si vede e che con un colpo di spugna diventa subito pulito. Il fornello di Sheila è enorme, ha sei fuochi, con delle spesse griglie in ghisa e ben due sportelli che ospitano due forni, uno più grande e uno più piccolino, dove ci sta al massimo una tortiera o una pirofila per le patate del Sunday roast. Anche il suo colore, verde scuro lucido con i pomelli in ottone, si addice perfettamente allo stile country della cucina.
Rose toglie la bustina del tè e la posa in un piattino a forma di piccola teiera con delle api disegnate che Sheila le ha appoggiato a fianco alla tazza. Busy bees, api indaffarate. Rose pensa che sarà una delle prime cose che acquisterà come souvenir da portare in Italia. Sheila le versa un po' di latte, poi si siede di fronte a lei con la sua tazza e sorseggiano il loro primo tè insieme. «Allora Rose, cosa ti porta qui in Inghilterra?» le chiede guardandola fissa negli occhi. Questa domanda fatta così, a bruciapelo, la mette un po' in difficoltà, perché deve cominciare già a mentire, e fingere non è mai stato il suo forte. «Devo migliorare il mio inglese, per lavoro. Sono un architetto, e negli ultimi mesi ho trovato dei clienti statunitensi a cui piace il mio stile; quindi, devo assolutamente essere in grado di comunicare con loro in modo fluente, è fondamentale, perché non ci possono essere equivoci o fraintendimenti, rischierei di perdere questo importante canale che mi si è aperto oltreoceano» dice, sperando di non essere arrossita come il suo solito. «Wow! Un architetto!» esclama Sheila sorpresa «Ho sempre avuto in casa giovani studentelli che mi hanno messa a dura prova; infatti, avevo detto all'agenzia che non avrei più voluto ospitare nessuno perché data la mia età, non avevo più la forza. Ma quando mi hanno contattata per dirmi che c'era una donna che aveva fatto richiesta di ospitalità, mi sono rimessa in gioco, non solo per una questione economica, ma anche per avere una compagnia in casa. Odio il silenzio! Quindi, benvenuta mia cara Rose! A proposito, questo nome inglese da dove viene?». «Da dove viene? Bella domanda!» pensa Rose con esitazione. Come le succede di solito quando si sente in difficoltà, distoglie lo sguardo dal suo interlocutore, vinta dall'imbarazzo e dal senso di inadeguatezza. Ma questa volta la sua sfuggevolezza è provvidenziale: i suoi occhi si posano su una libreria appena fuori dalla porta della cucina, rimasta leggermente socchiusa. «Beh, mia madre mi ha sempre detto che Rose era il nome della protagonista di un libro d'amore che aveva letto durante gli anni del liceo, ma onestamente non ricordo il titolo, anzi, credo proprio di non averlo mai saputo» risponde, fiera di come sia riuscita a tirarsi fuori dall'impasse. «Sì, certo, abbastanza tipico» commenta Sheila «e tuo padre avrà certamente accettato senza opporsi, immagino. Gli uomini in queste situazioni lasciano la decisione alle donne, vista la fatica che fanno a mettere al mondo i figli, non è così?». «Sì, certo, proprio così» aggiunge lei con un sorrisino isterico, cercando il modo per troncare la conversazione, perché sta cominciando a metterla davvero in difficoltà.
Ingenuamente, non si era preparata a tutte queste domande così, a bruciapelo; quindi, cerca il modo migliore di levare le ancore e ritirarsi nella sua camera. È stanca, e la stanchezza la porta ad essere poco lucida e poco pronta a trovare le risposte giuste alla legittima curiosità della sua ospite. Dovrà assolutamente prepararsi una versione dei fatti che sia il più possibile credibile e che non dia adito a Sheila di pensare che le sta mentendo, almeno finché non sarà sulla giusta strada che la porterà, si spera, a suo padre. Si sente la testa scoppiare, un calore improvviso le è salito in volto e la sua fronte si ricopre di minuscole goccioline di sudore. Sheila se ne accorge subito, e con aria premurosa le chiede: «Tutto a posto Rose? Ti senti bene?». Rose ne approfitta per congedarsi e le dice di essere un po' stanca, e di aver bisogno di riposare un po'. «Ma certo, che maleducata sono! Avrei dovuto capirlo subito, senza tenerti qui a chiacchierare. Scusami, ti prego, non volevo trattenerti, mi sono lasciata prendere dall'entusiasmo di avere finalmente qualcuno con cui parlare! Ma adesso vieni, che ti faccio vedere la tua stanza». Grazie al cielo si è arresa, e con grande sollievo Rose si alza e porta la sua tazza nel lavello. Sta per prendere anche quella di Sheila, che subito la ferma e le dice di lasciar stare, che ci penserà lei più tardi. Rose la segue mentre si avvia verso le scale che portano al piano di sopra. Neanche a dirlo, carta da parati e moquette la fanno da padrone, come in ogni casa inglese che si rispetti. Dopo aver salito la prima rampa di scale che porta al primo piano, Sheila si ferma e le fa vedere il bagno. «Fortunatamente qui non c'è la moquette, ma non c'è nemmeno il bidet! Aveva ragione la mia prof di inglese» pensa Rose, ricordando i racconti sentiti a scuola sulle particolarità delle case inglesi, che agli italiani sembrano decisamente bizzarre. Ma, come per ogni cosa, tutto dipende dal punto di vista. Sicuramente, anche gli inglesi troveranno strane alcune caratteristiche degli italiani, come ad esempio la gestualità mentre parlano, l’abitudine di toccare le persone, o di dare due baci quando ci si saluta, il fatto di tenere la lavatrice in bagno e non in cucina come loro, e chissà quante altre cose. L'importante è sempre rispettarsi e rispettare le altrui diversità.
Sheila le fa vedere come funziona lo scaldabagno, che è uguale al boiler che c'era nella vecchia casa dei suoi nonni, e le mostra anche come accendere la luce. Non c'è un normale interruttore sul muro, ma una corda appesa al soffitto. Tirandola, si accende la luce e si attiva la ventola di aspirazione. «Per fortuna me l'ha fatto vedere, altrimenti non ci sarei mai arrivata da sola, giuro!» pensa Rose, mentre Sheila prosegue con il suo tour. Sul pianerottolo si affacciano altre due porte: una è della camera di Sheila, l'altra di uno studio. Rose deduce quindi che la sua camera sarà nel sottotetto, al quale ci si arriva salendo un'altra rampa di scale, talmente strette e ripide che fa davvero fatica a salire con i bagagli. Sheila la precede, e arrivata in cima, le dà una mano afferrando la valigia. Sale ancora tre scalini, ed eccola arrivata, finalmente, in quella che sarà la sua stanza per le prossime settimane. Una grande finestra, senza tapparelle, si affaccia sul giardino sul retro della casa. Sheila chiude subito le tende ad anelli color rosa confetto, lasciando ai lati quelle più scure, che servono per oscurare la stanza durante la notte. Al mattino il sole sorge molto presto durante l'estate, ma Rose, prendendo spunto da un film che aveva visto poco prima di partire, si è portata una mascherina in raso nero da indossare per non essere disturbata dai primi raggi del sole. Ultimamente ha il sonno molto leggero, le basta davvero poco per svegliarsi, e poi riaddormentarsi è un'impresa. Le vengono in mente tutte le peggio cose, sarà perché di notte le paure si amplificano e le ore sembrano interminabili. Un tempo, le bastava appoggiare la testa sul cuscino e prendeva subito sonno, risvegliandosi dopo dodici ore non-stop, fresca come una rosa. Ora, dopo anni trascorsi al massimo dei giri, con mille pensieri e preoccupazioni per tutti, Rose vuole ricominciare a rilassarsi e a prendere le cose con calma: «Non ne vale proprio la pena» pensa sedendosi sul morbido piumino a fiorellini che profuma di bucato «la vita è mia, non è quella delle mie figlie, non è quella di mia madre, non è quella del mio ex marito». In quel momento, le vengono in mente le parole che le disse un giorno la sua istruttrice di yoga, durante una lezione: «Dimenticati del mondo che ti circonda: ora non sei più madre, non sei più moglie, non sei più figlia, non sei più amica, sei solo tu; abbandona tutti i ruoli che hai, concentrati su di te, sospendi tutto il resto...» e fu proprio in quel momento che finalmente realizzò di essersi dimenticata di sé stessa, e che quello era alla fine il motivo per cui tutto stava andando a rotoli, compresa lei.
Alla fine del giorno, quando andiamo a letto e chiudiamo gli occhi, restiamo soli con noi stessi, anche se al nostro fianco abbiamo un'altra persona con cui condividere il letto. Rose, con il tempo, ha imparato a non aver più paura della solitudine, anzi, a volte ne sente proprio il bisogno per ritrovare il suo equilibrio più intimo, così come le aveva insegnato sua madre. Ecco perché lei è lì, ora, a migliaia di chilometri da casa, senza niente e senza nessuno. Sente che è giunto finalmente il momento di riprendersi la sua vita, cominciando da dove è partita. Mentre Sheila scende le scale per tornare in cucina, Rose comincia a disfare la valigia e a riporre tutto nel piccolo armadio a due ante che c'è di fronte al letto, e pensa in quel momento alla cabina armadio di casa sua, e a tutto il ben di Dio che contiene. Ora ha solo lo stretto necessario, ed è così che deve ricominciare, con lo stretto necessario. Decluttering.
(tratto da “Good Vibes” di Monica Borsato - ed. Youcanprint)






Un racconto avvincente e molto bello , un viaggio interiore ambientato in un luogo suggestivo. Complimenti alla scrittrice e grazie a Laura per la condivisione!